Quando avevo 21-22 anni andavo in discoteca. Non una volta ogni tanto, nelle occasioni speciali, ero un’aficionada della musica revival anni ’70, e quindi la domenica sera si andava al Capogiro.
Oggi se in inverno mi dicessero di lasciare il divano, mettermi in tiro per andare in un locale piccolo e affollatissimo dove se non sei griffato dalla testa ai piedi sei, ad andar bene, un simpatico avventore di serie B, risponderei con una sonora risata, ma quando si è giovani la prospettiva è diversa. E si riesce a seguire le lezioni all’Università la mattina, andare a lavorare il pomeriggio, e la sera avere la forza di dare il via alle operazioni di restauro modello Duomo di Milano, che si concludevano obbligatoriamente con il tacco 12 e una pochette grande come un pacchetto di sigarette nella quale dovevano a tutti i costi entrarci soldi, chiavi, il gloss e uno smalto trasparente in caso di smagliatura improvvisa della calza.
Il Capogiro era per me come una seconda casa, non tanto perché ci trascorrevo parecchio tempo, bensì perché ci portavo gli amici: le amiche di sempre innanzitutto, gruppo allargato, e poi gli amici del paese, i colleghi di lavoro, i compagni universitari, la cugina della vicina di casa, l’impiegata della banca e perfino un giapponese conosciuto in vacanza studio a Salamanca. Con un certo vanto (ok, questa me la potevo risparmiare) posso dire che riuscivo a portare in discoteca fino a 40 persone a sera, cosa che mi aveva fatto guadagnare la simpatia di uno dei PR, Matteo, che con me poteva assicurarsi un guadagno discreto. Matteo col tempo è diventato un amico tanto che quando si è sposato non solo mi ha invitato (uno dei primi della serie dei 27), ma mi ha anche chiesto di leggere in chiesa la seconda lettura, lettera di San Paolo ai Corinzi.
Questo per dire che per me l’andare in discoteca non solo non era in contraddizione con il mio essere cattolica ma era un’attività perfettamente in sintonia con tutto il resto, fede compresa. Come la mia amica Claudia ancora ricorda, all’epoca avevamo dato vita ad un piccolo gruppo di preghiera. Si pregava il Rosario ogni giovedì, prima eravamo solo in due, poi in tre, in quattro fino a che la famiglia si è allargata e, pur con arrivi, partenze e ricambi vari, il gruppo è straordinariamente vivo ancora oggi (Posso fare come quando si appare in tv e mandare un saluto a tutti gli amici del gruppo Rosario di Almenno in provincia di Bergamo?). Ecco, io ero capacissima di arrivare all’appuntamento con il Rosario con il tacco 12 di cui sopra, con amiche al seguito che con scuse inenarrabili portavo a pregare, per poi andare al Capogiro.
Oggi pensandoci, anzi rileggendomi, la cosa mi suona un po’ blasfema, ma allora mi sembrava assolutamente naturale. L’unica punta di imbarazzo l’ho avuta nel 2003, mentre ero in ritiro al Convento delle Suore dell’Immacolata di Santa Chiara di San Giovanni Rotondo. Durante la Compieta il mio cellulare ha iniziato a squillare con sulle note di “Somebody to love” dei Queen a tutto volume (e io, giuro, tengo sempre il silenzioso!). Era la mia amica Erika, voleva i biglietti per il Capogiro e io sibilavo nella cornetta che ero a San Giovanni Rotondo, che non potevo, mentre lei dalla bolgia infernale dell’esterno discoteca mi urlava nell’orecchio “Che ci fai a Porto Rotondo?”
Insomma mi piaceva andare in discoteca, ancor più con gli amici, ancor più a ballare il revival, e mi piaceva anche stare a guardare le persone che mi circondavano. Dopo un po’ pero’ le facce erano sempre quelle, e quando cambiavano, molti di loro avevano lo stesso identico sguardo: perso nel vuoto, proiettato in avanti, alla ricerca di qualcosa che sembravano non trovare mai. Lo diceva anche un noto sociologo degli anni ’90, Max Pezzali: «Loro vanno in discoteca “solo per ballare” / poi passano le ore appoggiati a un muro/ abbronzati come vecchi lupi di mare/ bicchiere sempre in mano e sguardo da duro / In questo regno dove tutto è permesso / lasciati andare e vedrai / che anche se non cambia niente è lo stesso tu ti divertirai/ nella notte»,
Certo non è una notizia, in discoteca, molti ci vanno appunto per farsi cercare, guardare, sedurre e magari trovare un ragazzo o una ragazza. Nulla di male, in questo, ma “in questo regno dove tutto è permesso” il movimento diventa forma di dialogo dialogo e la sensualita’ il linguaggio preferenziale. Quanto questo possa rivelarsi insidioso ce lo dice la storia Salomè, che con la sua danza sensuale ha fatto perdere la testa a Erode cui ha chiesto e ottenuto la testa decapitata di Giovanni Battista. E ce lo dice anche Padre Pio, che più volte in confessionale ha ribadito che le sale da ballo “Sono un invito al peccato”.
Insomma, non voglio certo sputare sul piatto dove ho mangiato, o meglio ballato, per tanto tempo, e potrei farvi nomi e cognomi di coppie che si sono conosciuti in discoteca e oggi hanno una famiglia bellissima e cristiana, certo è che a volte facciamo decisamente fatica a scorgere il pericolo quando si nasconde dentro un pacchetto scintillante, e altre ancora cerchiamo di dissetarci dal pozzo sbagliato, rischiando di caderci dentro e farci male.
Tutto questo ovviamente non ha niente a che vedere con il ballare, con la danza, espressione di gioia interiore, esultanza, lode a Dio, niente a che vedere con i passi trepidanti dello sposo che raggiunge la sposa “Una voce! Il mio diletto! Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline”, niente a che fare con la tristezza e il peccato che, per grazia, si tramutano in danza.